IMPERFEZIONI PEDAGOGICHE

Pedagogia

Parliamo di scuola

150 150 Silvia Ferrari

Ogni volta che penso alla scuola, sorrido e rivivo molti momenti vissuti, dalla scuola allora elementare fino all’ università. Curioso leggere nel vocabolario Treccani, che la parola scuola, dal latino schola, in origine significasse libero e piacevole uso delle proprie forze, anche spirituali. Solo con il passare del tempo, la scuola è diventata il luogo di studio per eccellenza. Ma la scuola non è solo un luogo, è un insieme di situazioni ed esperienze che intrecciano nel corso degli anni i propri vissuti e quel che appartiene al passato. Investita da riforme e leggi in base al cambio di Ministri e Governi, questa Istituzione è spesso oggetto di critiche e dubbi e chi vi opera, pare abbia perso, almeno pare, l’autorevolezza consigliata per rendere efficaci le azioni educative e didattiche. In realtà  noi docenti insieme alle persone che credono al valore della conoscenza e dell’amore per il sapere, sappiamo bene cosa significa  “scuola”.

Essa ha inizio all’età  di tre anni,  seppur non obbligatoria con la scuola dell’infanzia e prima ancora al nido. Fino ai sedici anni, la scuola è un obbligo, come sancito dalla L.296/96, ma va considerata un’occasione di crescita, di maturazione personale, di educazione alla socialità . Non vorrei soffermarmi sulla scelta legata al percorso di studi, se essa possa aver influenzato la nostra vita, se la nostra professione possa essere considerata il punto d’arrivo o di partenza, ma piuttosto apro una riflessione  sul percorso e  sul significato della parola, sulla scuola vissuta da studenti, insegnanti, genitori che abbraccia innumerevoli aspetti e sfumature.

 “Cosa significa per te scuola?”

Ho posto questa domanda ad un gruppo di persone con diverse caratteristiche per età , luogo di residenza, professione. Le loro risposte sono molto interessanti  dal punto di vista emotivo, sociale e personale. 

Sabrina Orecchia, insegnante di scuola primaria dice: “La scuola per me non è un dovere né per gli alunni né tantomeno per noi insegnanti. È piacere di imparare perché non è mai abbastanza, piacere di condividere, di trovarsi, di provare dei sentimenti, la scuola ti deve generare determinazione per raggiungere obiettivi non solo nello studio ma ti insegna che la vita è proprio una metafora con la scuola.  Dopo tante ore passate insieme non serve fingere perché con il tempo ci si conosce e se questo tempo lo impieghiamo tutti con il sorriso e la voglia di divertirci imparando, tutto diventa facile o comunque superabile. Quando mi chiedono: “Che lavoro fai?” Io rispondo: “Io non lavoro, io vado ancora a scuola”.

Viviana Leguti, insegnante alla scuola dell’infanzia in questi ultimi anni, pensa alla scuola come luogo di insegnamento: “Con amore, con impegno e dedizione insegneremo ai nostri bambini a volare” (Frase dal web). Insegnare, questo siamo chiamare a fare, non educare o controllare.  Ai nostri bambini perché non li consideriamo numeri, a volare a pensare, sperimentare, creare ad essere autonomi”.

Sara Ferraresso, docente e pedagogista pensa che la scuola sia un posto per crescere insieme, come docente a livello professionale e umano, attraverso il confronto settimanale e quotidiano, la collaborazione e la progettazione comune, anche a livello di dipartimenti disciplinari, non solo di modulo o di docenti di classi parallele. Per i bambini piccoli rappresenta una seconda famiglia, dove sviluppare competenze relazionali e civiche e dove l’apprendere diventa una scoperta e una sorpresa giornaliera, attraverso attività e proposte motivanti e coinvolgenti, collaborative. Proposte queste che facilitino lo sviluppo di quei processi cognitivi superiori, possibili laddove  l’adulto o compagni più grandi sostengano l’approccio a concetti e competenze via via più complessi.

Serena, studentessa al quarto anno di un istituto tecnico, scherzando e sorridendo dice che la scuola è una noia, poi ci ripensa e dice che in fondo serve, anche se la voglia di studiare non sempre c’è. A scuola ha trovato amiche e amici su cui fare affidamento e durante le lezioni si sente al sicuro. 

Micaela Pellegrini, insegnante di scuola primaria, usa una metafora per parlare di scuola e la paragona ad una casa: se le fondamenta sono solide essa è sicura. Così nell’esperienza scolastica se si interiorizzano le basi sia a livello di apprendimento che sociale, la realizzazione del proprio futuro potrà  essere costruita con sicurezza. Per questo ogni insegnante ha una grande responsabilità.

Luisella Pellegrini, insegnante scrive: “ La scuola è un “luogo sacro”, dove si entra in punta di piedi. La chiave principale è la pazienza, la virtù  maggiore è la capacità  di valorizzare, cogliere e comprendere che tutti, indistintamente, hanno potenzialità  e talenti. La Scuola è sempre stata parte integrante della mia vita, avendo anche una mamma insegnante. Sono cresciuta nel rispetto di quello che ritengo un settore educativo fondamentale, al quale ho dato tanto con sempre rinnovato entusiasmo, attraverso il confronto tra colleghi,  la collaborazione e soprattutto l’ umiltà che non si finisce mai di apprendere. Importante  il reciproco rispetto e l’efficace rapporto tra docente e genitore, in quanto la famiglia è l’ agenzia educativa più importante e l’interazione proficua è fondamentale.”

Anche la Professoressa  Barbara Letteri ha condiviso una sua preziosa riflessione. 

“Citando Philippe Meirieu, Professore Emerito dell’Università  Lumiere di Lione, l’elemento costitutivo dell’azione educativa è un vero paradosso: “L’istruzione è obbligatoria, ma l’apprendimento non si può imporre”.  Si sente spesso dire: “Non riesce perché non è motivato/a” è un’affermazione che bisogna cercare di rovesciare: e se non fosse motivato perché non siamo riusciti a farlo motivare?

È l’insuccesso che demotiva più di tutto, soprattutto quando è interiorizzato. Si crede spesso che l’allievo debba essere sempre già motivato per mobilitarsi e apprendere. Non si può essere motivati da ciò che non si conosce. Tocca all’educatore mobilitare l’allievo,facendogli intravedere e scoprire le soddisfazioni che potrà avere conoscendo ciò che ignora.

Spesso, inoltre, si sottintende che la motivazione è una condizione per riuscire a scuola. Ma in questo modo si trasforma in prerequisito quello che invece è un obiettivo della scuola. Il compito della scuola è mobilitare gli allievi ai saperi.   La scuola, molto spesso, quindi, è ancora legata a una mera trasmissione dei contenuti disciplinari; ciÃò allontana lo studente da quel processo meraviglioso che è l’apprendimento significativo (Ausubel) e che le neuroscienze, negli ultimi anni, ritengono profondamente legato allo sviluppo dell’intelligenza emotiva e creativa.

Io insegno da 34 anni e quando ero una studentessa mi sentivo costretta nell’apprendere in modo strutturato, mai divergente, mai stimolante. Ho splendidi ricordi dell’allora scuola elementare in cui la maestra era colei che insegnava “per contagio” e ho però anche fastidiosi ricordi della scuola media e superiore in cui tutto era rinchiuso in parole dette dai professori che desideravano che noi ripetessimo in modo il più possibile uguale alle loro spiegazioni e in cui c’era un approccio punitivo all’errore, che risultava spesso rischioso nel minare l’autostima e la percezione di sé. Quando sono diventata insegnante e ogni giorno della mia professione cerco di ricordarmi cosa non volevo per me a scuola e faccio il possibile per creare ambienti di apprendimento in cui ogni alunno possa dimostrare cosa ama fare, cosa sa fare, com’è la mia vita e qual è il suo progetto di vita futura e coltivo la speranza di essere ricordata non per ciò che ho insegnato loro, ma per come li ho fatti sentire.”

Fabio Bassan, contribuisce con un suo pensiero attraverso l’essere padre, nonno e Sindaco.

“Ogni anno l’inizio della scuola è una grande festa. Ma cosa si festeggia? Si chiederanno gli studenti. Si festeggia la libertà . La conoscenza e la cultura rendono libere le persone. Ogni donna e ogni uomo avrà  consapevolezza di se stesso, del proprio valore, dei  propri limiti. La conoscenza e la cultura sono bandite dove vige la dittatura e l’oppressione.  La conoscenza e la cultura sono i mattoni del libero arbitrio che è il dono più grande.”

Viviana Vitari, Bibliotecaria di grande esperienza e competenza, parla della scuola così: “Più che la scuola sono stati i “maestri” che hanno fatto la differenza per me. Sono stati quegli adulti che davanti al mio banchino erano capaci di creare profondità  di campo. Non improvvisavano, capivo che zoomavano. Ricordo che la maestra non ci chiedeva “performance”, ma ci donava esperienze di sapere. Sì, sono stata fortunata, anche se, a voler essere sincera fino in fondo, la mia vera scuola è stata la vita. E lo è ancora. In questa scena educativa a 360° emergono tanti equipaggiamenti che ho allenato a scuola. E’ un circolo ermeneutico che mi fa capire la situazione, mi permette di passare dalla teoria alla pratica e viceversa. Mi permette soprattutto di creare senso e quindi di desiderare ancora di imparare.”

Ogni parola dedicata alla scuola, crea altri discorsi e considerazioni, genera idee, come quelle della filosofia di Platone, alla continua ricerca oltre il sensibile, in un luogo altro. 

All’inizio di questo nuovo anno scolastico, mi piace pensare a Nietzsche e al suo concetto di eterno ritorno, in cui anche la scuola muore e rinasce. Muore ogni volta che non crediamo in lei e ci mettiamo in un angolo a subire anziché agire per migliorare. Rinasce quando decidiamo di essere presenti, di sottoscrivere azioni sostenibili capaci di generare emozioni significative. Rinasce quando sorridiamo sulla soglia dell’edificio che ci accoglie, quando siamo in grado di collaborare con colleghe e colleghi in modo costruttivo, quando da genitori stiamo in disparte, pur sostenendo e incoraggiando le nostre figlie, i nostri figli e ogni docente. Rinasce quando diciamo “sì” alla vita, all’esperienza, allo studio, all’impegno, alla fatica, al mondo e ai suoi colori, rinasce ad ogni sorriso, ad ogni lacrima per un inizio quasi crudele ma poi eccezionale. 

La scuola sia allora un continuo divenire, un susseguirsi di idee ed emozioni per accompagnare ogni percorso, sia una lettura attenta di comportamenti e strategie, messe in atto per migliorarsi quotidianamente. La scuola sia poesia, canzone, orchestra e tutto ciò che ci fa sentire bene, per tornare alle origini, sia il libero e piacevole uso delle nostre forze per trasformare ogni scuola in perpetua bellezza. 

Voglio dire Buon Natale

150 150 Silvia Ferrari

Nel rispetto delle religioni diverse da quella cattolica, o per la perdita di fede, è ormai consuetudine vivere il mese di dicembre dando poca importanza all’Avvento.

Se inizialmente questo poteva essere inteso come un modo inclusivo di vivere i momenti della cristianità, ora sta diventando preoccupante perché è una continua rincorsa all’attenzione verso l’abbandono dei termini canonici del Natale, ci dicono, per essere accoglienti verso tutti.
Così però stiamo perdendo la libertà di esprimere cosa significa davvero Natale, usando invece termini di altre culture o semplicemente parole più “leggere” che poco agganciano la tradizione.

Nella religione cattolica, è la nascita del Signore, il  Dio che si prega e in cui si crede. Questo semplicemente è il punto da cui partire per arrivare al 25 dicembre.
Ognuno può vivere la propria esperienza come meglio crede, in famiglia, nelle scuole e nei luoghi pubblici.

Chi vive la cultura occidentale, abbraccia alcune tradizioni, come canti, il presepe e l’addobbo dell’albero. Soprattutto quest’ultimo è accolto con interesse da tutti e come consuetudine, si decora all’inizio dell’Avvento, nonostante i social ci propongano tempi diversi, la corsa a chi lo prepara  prima o le luci più colorate. 

Per quanto riguarda il presepe poi, proprio nella nostra Italia è nata la tradizione della Sacra rappresentazione con San Francesco, per ricordare il vero dono del Natale. Nella zona di Napoli e in altre città sparse per lo stivale, è particolarmente importante la produzione di statuine coreografiche per evocare la nascita di Gesù.

Perché allora abbandonare le nostre tradizioni? La visione interculturale del Natale non ha nulla a che fare con l’abbandono, ma anzi ha il profondo significato dell’Intreccio  di più culture che si valorizzano a vicenda. Interculturale significa infatti conoscenza e incontro di culture diverse. Come si rispettano tutte quelle che accogliamo quotidianamente, usando i termini appropriati per definirle, è giusto poter dire “Buon Natale” o “Avvento” senza sentirsi in difetto, ma educando al rispetto. Rispetto, un termine universale di umanità e sapienza, capace di rendere migliori le persone.

Perciò, questo mese di dicembre sia davvero un incontro, un calendario in cui si scoprano le tradizioni di altre culture e si valorizzino le nostre, che siamo chiamati a rispettare, seguire e trasformare in modernità, stando al passo con la società che evolve.
Per questo Natale riprendiamoci la libertà di spiegare cosa significa.

I valori e il senso della tradizione , acquisteranno di nuovo il loro posto e l’azione educativa soprattutto delle famiglie, sarà di nuovo efficace, capace di radicare il senso di appartenenza che oggi spesso è delegato ai social media, alle mode, all’influenza di persone che non scegliamo come esempi ma ci vengono proposti da imitare in massa, lasciando assopito il pensiero creativo e divergente.

Riscopriamo allora  la bellezza della tradizione, per chi professa una qualsiasi religione e per chi non ha un Dio in cui credere,  sottolineando l’azione educativa, nel rispetto civico e morale. Iniziando da noi, rivaluteremo l’impatto sociale che la riscoperta dell’educazione lascia, come nuovo umanesimo, nuova occasione, nuova esperienza di condivisione e vita reale. 
Allora, a tutti, potrò dire liberamente Buon Natale!

Verità e coerenza per vivere al meglio

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Dire ciò che si pensa, sempre, seppur con eleganza e trasparenza, spesso genera reazioni ostili e conflittualità, anche tra adulti.
La coerenza e la sincerità però ci aiutano a crescere, ad essere consapevoli e a trovare il modo di affrontare ogni situazione.
A volte penso di essere io fuori luogo, nel confronto mi sono sentita in difetto tante volte.
Alcuni giorni fa sono stata attaccata e in quel contesto non me l’aspettavo. Forse ho detto qualcosa che ha infastidito chi stava comunicando con me o semplicemente… questione di feeling.

Poi ci penso e mi dispiace, perché credo nelle relazioni e nel potere di modificare in noi ciò che può essere migliorato.
Ci lavoro ogni giorno, a volte riesco, a volte no, come tutti noi, ma continuò a provare e soprattutto ad essere coerente con le mie scelte e i miei valori. Quelli che arrivano dalla mia educazione, quelli che ho scoperto da sola e che sono anche cambiati nel tempo.
L’importante è provare a smussare, modificare, tenendo conto delle nostre personalità che si intrecciano alla ricerca di un equilibrio.
Se lo troviamo, le nostre relazioni miglioreranno e saremo capiti dagli altri, forse da molti oppure da pochi, ma sarà un grande privilegio ritrovarsi.

#formazione

Ognissanti

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La ricorrenza cristiana si  festeggia il 1° novembre e  ha radici molto antiche.  Si mescolano  elementi  sacri e profani, con tradizioni  diverse in tutto il mondo. Per  i cristiani si tratta di  un momento in cui i credenti partecipano alla Messa nel rispetto del terzo comandamento che impone di santificare le Feste. C’è poi la visita ai vari luoghi sacri dove riposano i defunti, perché il giorno successivo, si celebra la giornata dei defunti.
Ognissanti, venne istituita dalla Chiesa e inizialmente celebrava  coloro che erano morti come martiri. Ma in seguito fu estesa a tutti i santi, così  nel 610 d.C. Papà Bonifacio IV,  decise di festeggiare la commemorazione dei santi  il 13 maggio. Successivamente  Papa Gregorio III spostò la data al 1° novembre ,come anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro, con le  reliquie dei santi apostoli e di tutti i santi.

Tanti auguri Calimero

150 150 Silvia Ferrari

1963 -2023
Il pulcino Calimero, nel primo Carosello è presentato come il quinto della covata di Cesira, una gallina veneta.
Il piccolo in testa ha sempre l’uovo da cui si è schiuso e ogni giorno affronta avventure in cui, nonostante il suo stato iniziale di “brutto anatroccolo” abbandonato dalla famiglia ed esposto alle cattive compagnie, non sempre il bene e la verità trionfano.

Il mondo di Calimero non è apertamente ostile ma anzi confortevole anche se popolato di aguzzini primo tra tutti Piero, che è un maschio papera molto furbo o il saccente professor Gufo Saggio, che fanno da contraltare ai personaggi positivi come la fidanzata Priscilla e l’amico Valeriano.
( dal web)

Calimero oggi è una parte di ognuno di noi, quando non ci sentiamo accettati in un ambiente, tra amici o in altre situazioni. Dopo 60 anni il piccolo pulcino fuori dal comune è ancora un esempio di tenacia, di voglia di emergere e di perseveranza.
Alla fine, la bontà e la sincerità di Calimero vincono e convincono tutti che dietro ad un’apparente verità c’è qualcosa di più profondo. Ci sono modi di vivere, emozioni, capacità e competenze in un mondo in cui conta solo ciò che si vede.
Con l’aiuto di Calimero, oggi riscopriamo il valore di “ciò che si è” realmente, senza timore o incertezza di deludere chi ci osserva ma con la convinzione di offrire la miglior parte di noi, con sincerità e orgoglio. C’è ancora molta strada da percorrere a livello sociale e soprattutto educativo. Ma solo provando, da adulti consapevoli,  potremo capire il nostro valore reale e togliere il nostro guscio di Calimero per dare vita ad esperienze indimenticabili e soprattutto vere, per contornarci di persone sincere che tengono a noi, per avere la libertà di dire quello che pensiamo senza forzature e stereotipi, per avere il coraggio di educare le nuove generazioni sulle orme di Calimero.
Riguardando alcuni episodi di Carosello, non si può non fare riferimento all’inclusione, che ancora spesso ci fa riflettere. Nonostante i tempi cambiati e divenuti così social, il piccolo pulcino ritorna a insegnare che si vince solo quando si sceglie il meglio per noi, anche se questo significa andare contro corrente, uscire dal branco, essere diversi ma fare la cosa giusta che ci fa star bene.

La cosa giusta e il meglio per noi…

 Sono una continua ricerca che affascina e appassiona perché il bello di arrivare è la strada per arrivare.

Allora grazie Calimero per aver tracciato un sentiero,  tanti auguri di buon compleanno, continua ad essere un esempio!

La scuola è luminosa!

150 150 Silvia Ferrari

La  scuola è…  luminosa!

Iniziare la settimana e ogni giorno con il sorriso, offre ad alunni e insegnanti una prospettiva divergente. Penso al luogo di lavoro, ma se la passione e la creatività mi accompagnano, è facile pensare alla scuola come a un’esperienza di vita unica. Oggi ancora troppo spesso leggiamo di episodi poco motivanti o magari li viviamo in prima persona:  insegnanti che mortificano anziché valorizzare e rimangono ancorati a una didattica tradizionale invece di cambiare.

Le buone pratiche e la fiducia, sono ingredienti strategici per migliorare l’esperienza scolastica, ognuno nel nostro piccolo, ma quel che è certo è che il primo cambiamento parte da noi. Noi facciamo la differenza!

Le leggi e i decreti ci forniscono indicazioni su come orientarci seguendo le norme, ma la creatività è un’altra cosa. È uno stato d’animo, una scelta, un’emozione. Uno stato d’animo perché se siamo desiderosi di imparare, possiamo solo migliorare. Un’emozione perché ogni momento della giornata scolastica è scandito da sensazioni più o meno piacevoli, ma emozioni che generano bellezza.
La creatività è una scelta, perché siamo noi a decidere che tipo di insegnanti vogliamo essere, che esempio dare, che traccia lasciare. Sui social siamo tutti a ricercare pagine con tutorial per realizzare lavoretti e attività, ma siamo noi il vero tutorial.  Ognuno di noi può creare il bello della scuola e seguire o imitare  gli altri ci serve come suggerimento , ma siamo noi a dover inventare e creare esperienze di qualità  

Decidiamo quindi ogni giorno di rendere la nostra scuola luminosa, con semplicità e soprattutto seguendo la nostra ispirazione. 

La scuola è una cosa seria

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Il ricordo più bello che ho della mia esperienza come alunna, è del  maestro Agostino che dopo i primi quattro anni di routine, è arrivato portando un modo diverso di lavorare, di vivere la scuola. Amava il teatro e aveva coinvolto la nostra classe quinta e tutta la scuola a portare in scena un racconto interpretato da noi alunni. Il maestro aveva osservato le nostre caratteristiche e potenzialità e insieme alle altre maestre aveva assegnato ad ognuno una parte, “la parte”, quella che ognuno si sentiva cucita addosso. Avevamo imparato che non importava quante battute ci fossero da recitare, ma come le avremmo recitate e soprattutto che se ognuno di noi avesse interpretato il proprio ruolo con impegno ed empatia, lo spettacolo sarebbe stato un successo.

In quell’anno ho iniziato ad amare la scuola, a pensarla non tanto come un luogo ma come una dimensione in cui vivere, un insieme di mondi reali e fantastici capaci di farmi crescere e maturare in modo libero, personalizzato ed entusiasmante.

Il mio percorso non è stato sempre facile, ho avuto difficoltà ad inserirmi in un contesto di scuola superiore in cui gli insegnanti non avevano cura dei ragazzi ma solo delle prestazioni. Ho incontrato compagni di classe lontani dall’essere amici o complici in un cammino, ho faticato a volte a far comprendere le mie ragioni, le mie idee oltre gli stereotipi.

Nonostante aspetti negativi della mia esperienza scolastica, quello che ho sempre ricordato è stato quell’ultimo anno alla scuola elementare (ora primaria), che ha tenuto un filo legato a mente e cuore tanto che ho deciso di fare l’insegnante. Sono passata dall’infanzia alla primaria, con una brevissima parentesi alla secondaria di secondo grado per poi continuare alla scuola primaria. Ho cambiato molte volte impostazioni e regole, in base alle leggi che negli anni si sono susseguite nella scuola, cercando di prendere il positivo da tutte e renderle efficaci. Intorno alle riforme della scuola ci sono sempre state polemiche e considerazioni a più voci.

Cercando di guardare ancora oltre come facevo da studentessa, mi sono documentata, ho continuato a studiare la normativa, ho tenuto fede agli articoli della Costituzione a tutela del diritto allo studio, alla libertà di insegnamento, ho cercato di migliorarmi anno dopo anno per entrare il più possibile in sintonia con i miei alunni.

Dopo anni impiegati a costruire una professione, l’ultima trovata che getta ombre e dubbi sul percorso: il docente esperto.

Con orgoglio, posso affermare di aver fatto fruttare nella mia esperienza di insegnante, i miei studi e il mio impegno e di aver messo a disposizione della scuola le competenze acquisite. Lo dimostrano gli obiettivi raggiunti dagli alunni e alunne, i rapporti collaborativi con genitori e colleghi, le esperienze maturate come formatrice di altri docenti, come tutor, come figura di sistema. Semplicemente ho reso il mio lavoro, che è il più bello del mondo, piacevole e frizzante per me e per chi con me ha vissuto la scuola ogni giorno.

Prima di continuare a proporre altre riforme, percorsi per diventare docenti esperti, mi piacerebbe che si guardasse all’Europa, ai molti sistemi scolastici che funzionano e dove per  studenti e insegnanti c’è un profondo rispetto e una  profonda considerazione (oltre che ad uno stipendio adeguato all’impegno professionale).

Prima di continuare a cambiare le leggi della scuola, mi piacerebbe che si valutasse l’ipotesi di non proporre altro, ma di sistemare quel che c’è, che con impegno e fatica dirigenti e insegnanti provano ad attuare quotidianamente per il bene comune, mettendosi in discussione e adeguandosi alle singole realtà per ottenere il meglio.

Vorrei che la scuola intesa come comunità attiva, fatta di esperienze, conoscenze, competenze, emozioni, tornasse ad essere protagonista di una storia vera, semplice e affidabile, scritta quotidianamente pensando al bene, al bello, alle potenzialità, alle possibilità, alla collaborazione vera, vissuta e non recitata con una parte che non le si addice.

Vorrei che gli insegnanti fossero registi del percorso di insegnamento apprendimento, certi dell’importanza e della bellezza del lavoro che hanno scelto, e scegliere significa faticare, impegnarsi, formarsi, non improvvisarsi! Insegnanti felici e gratificati, sanno motivare gli studenti e le studentesse con un rinnovato entusiasmo, che in questi anni a molti di noi non è mai mancato e proprio per questo le proposte innovative devono essere autentiche, spendibili, motivanti.

Agli insegnanti è affidato il compito di far emergere il bello di ogni studente e studentessa, di farli innamorare della conoscenza, di renderli consapevoli per essere uomini e donne del futuro, capaci di pensare, lavorare, creare occasioni.

Vorrei continuare a svolgere il mio lavoro per questo, per contribuire a rendere migliore la società, senza sentirmi sempre messa alla prova, pur continuando a studiare e formarmi ogni anno perché è corretto, ma senza scadenze per ricevere un buono, senza dover dimostrare, perché tutti sbagliamo, ma abbiamo poi la possibilità di fare meglio.

Quindi mi domando, cosa altro dovrei fare per essere considerata un docente esperto? La formazione in servizio è già presente nel comma 124 , art. 1 della L 107/2015 e in molti ogni anno ci ritroviamo a seguire corsi, seminari, workshop proprio per garantire alla scuola percorsi di qualità.

Ho lavorato sempre con passione, divertendomi e continuerò a farlo perché ci credo, perché mi piace, perché amo la scuola, perché è il lavoro che ho scelto e perché chi ha un’esperienza simile alla mia o migliore, possa continuare a credere che la vera differenza siamo noi!

Noi, che ci adeguiamo ad ogni proposta senza polemiche, ma con il desiderio di fare nuove attività, noi che accompagniamo, consoliamo, orientiamo, coccoliamo e qualche volta ci arrabbiamo.

Noi, che viviamo la scuola come gli spettacoli del mio maestro Agostino, con prove e tentativi,  complimenti e sorrisi,  momenti da correggere e  applausi, conoscenze e  vita vera, quella che genera le emozioni più belle che non si dimenticano mai!

E se un giorno qualcuno dovesse chiedermi a cosa è servita la scuola, come alunna e come insegnante? Risponderei che la scuola mi ha insegnato la vita.

Parlar di gentilezza

150 150 Silvia Ferrari

Che cos’è la gentilezza

Da sempre la gentilezza deriva da insegnamenti ed esempi generativi di persone familiari che ponevano al primo posto l’arte della relazione personale, utile ad intrecciare rapporti di tipo commerciale e sociale. Se provassimo a chiedere alle persone di definire la gentilezza avremmo tante interpretazioni con un nome comune : comportamento rispettoso.

“La gentilezza, è la delizia più grande dell’umanità” (Marco Aurelio). Se chiedessimo ai bambini di parlare di gentilezza, loro porterebbero esempi pratici come dire grazie, essere educati, rispettare chi abbiamo di fronte. Con infinita semplicità delle loro parole,  saprebbero infatti spiegare la gentilezza: un modo di comportarsi che rende felici tutti.

La gentilezza nel tempo

Con il Cristianesimo la gentilezza divenne un esempio caritatevole, un atto d’amore verso il prossimo, un modo di vivere.

Nel tempo altri filosofi hanno scritto e parlato di gentilezza, definendola un comportamento che potesse giovare non solo a se stessi ma anche agli altri. Essere gentili significava offrire all’umanità un’occasione di confronto, di apertura, di dialogo., il rispetto e l’educazione che si manifestavano in ogni occasione hanno caratterizzato i periodi più travolgenti della società di un tempo, dall’umanesimo al rinascimento.

Nel 1205 San Francesco d’Assisi grazie alla sua conversione, contagiò molte persone con il suo desiderio di aiutare e amare il prossimo, con parole e opere gentili, divenute poi quotidianità e azione caritatevole.

Il periodo dell’Umanesimo vide protagonista la gentilezza nell’ambito educativo e sociale con la finalità di consolidare lo spirito e l’animo delle persone e infondere sicurezza.

Il filosofo David Hume nel 1741 pose l’attenzione a quanto fosse necessario elevare la pratica della generosità e della gentilezza, dote innata nelle persone a suo parere capace di donare benessere.

 

La gentilezza oggi

Oggi la parola gentilezza sembra poco importante, eppure il 13 novembre ogni anno si ricorda la giornata della gentilezza durante la quale si alimentano e si mettono in pratica buone azioni che dovrebbero poi divenire consuetudine. L’idea di istituire questa giornata è nata in Giappone e nel 2000 è stata resa nota anche in Italia grazie ad un movimento che ha sede a Parma.

In molte occasioni abbiamo sperato che la gentilezza potesse divulgarsi più di altre mode anche nella nostra società così cambiata, in movimento continuo. Sempre più spesso assistiamo a comportamenti motivati da egoismo e presunzione piuttosto che generosità e aiuto verso chi ha bisogno.

La gentilezza a scuola e a casa

Ancora una volta i bambini offrono un contributo interessante perché nelle scuole e nelle famiglie con le loro azioni talvolta spontanee, talvolta guidate da saggi genitori e insegnanti, sanno far rinascere la gentilezza nella sua forma più pura e più maestosa. L’azione educativa che suggerisce comportamenti gentili infatti, mortifica e pone in ombra usi inadeguati ad un contesto sociale in formazione costante. La famiglia in quanto agenzia educativa per eccellenza, è la prima a dare l’esempio di comportamenti dignitosi, lodevoli e gentili, caratteristici di ogni soggetto attivo in una società. La scuola poi, valorizza il compito formativo, per garantire ai bambini continuità, coerenza, veridicità e infinita bellezza.

Il bello della gentilezza infatti, è che non si perde e non si consuma, anzi, se alimentata con perseveranza e manifestata in continuazione, si diffonde, si rigenera, facilitando l’emergere di personalità limpide, sincere e decise. La forza della gentilezza sta proprio nell’essenza stessa del termine: nobiltà d’animo acquisita con l’esercizio della virtù; atto, espressione, modi gentili, proprio come scrisse il poeta Giudo Guinizzelli nell’opera “ Al cor gentil rempaira sempre amore” (XIII secolo).

In occasione della giornata della gentilezza, azioni, poesie o  racconti narrati possono aiutare a diffondere questo nobile sentimento, nella speranza che possa emergere senza timore alcuno, ma con la certezza di compiere un passo verso la crescita dell’intera umanità.

 

Bibliografia:

Ferrari S, poesia “La gentilezza”, 2020

Guinizzelli, “Al cor gentil rempaira sempre amore” XIII secolo

Stilton. G, “Il piccolo libro della gentilezza” Piemme, 2020

 

Sitografia:

https://www.officinafilosofica.it/blog/gentilezza/

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_d%27Assisi

https://it.wikipedia.org/wiki/Cantico_delle_creature

https://www.silviastrocche.it/la-gentilezza/

 

Grandi risorse e competenze a fine anno scolastico

150 150 Silvia Ferrari

Gli argomenti che sono stati sviluppati nel corso di questo anno scolastico così travagliato e per certi aspetti faticoso, hanno consentito sia ai miei alunni che a me di approfondire alcune tematiche legate al raggiungimento delle competenze.

Una delle attività conclusive di lingua italiana, storia, educazione civica è stata la realizzazione del curriculum dello studente, con una rilettura adeguata ad una classe quarta della scuola primaria. Insieme agli alunni ho elaborato una traccia che tutti hanno  compilato a casa in autonomia. Ho chiesto poi di arrivare in classe con un abbigliamento elegante per la presentazione di  un loro progetto del  recente passato e volto al futuro  (avevano come accessori anche cravatte, borse, collane e scarpe con i tacchi!). È stato molto interessante ascoltarli perché i bambini hanno dimostrato di avere grandi risorse e di saper coinvolgere tutti i compagni che si sono sentiti motivati a porre domande per soddisfare tutte le curiosità, con estremo rispetto gli uni verso gli altri.

Con molta determinazione ed entusiasmo, ognuno ha elencato le scuole, le classi frequentate fino ad ora, le varie attività, i progetti svolti nell’anno scolastico, eventuali partecipazioni a concorsi promossi dall’Istituto e per finire uno sguardo al futuro con la spiegazione delle idee creative legate alla   professione che sognano di intraprendere da grandi. Da qui tante considerazioni legate agli studi necessari per raggiungere l’obiettivo, alle risorse materiali da utilizzare, alle persone coinvolte e alla motivazione che aveva suggerito la loro scelta.

Si sono così incrociati tanti discorsi di educazione civica riferiti alla legalità, all’ ambito giuridico, all’importanza del rispetto di diritti e doveri dei cittadini, alle regole, alla tutela delle minoranze, alla salvaguardia dell’ambiente e degli animali, alla  tecnologia come fonte di innovazione e crescita personale e professionale.

Tanti gli aspetti che hanno permesso a noi tutti di riflettere, di portare esempi carpiti  dalle nostre esperienze quotidiane, di vedere il futuro con entusiasmo e fantasia, lasciando perdere ciò che non funziona, ma provando a trovare soluzioni immediate per attivare da subito, nel nostro piccolo, comportamenti sostenibili e generativi.

Ogni nostro gesto, ogni percorso familiare e scolastico, se proposto con cura, passione e determinata consapevolezza, contribuisce a migliorare la  qualità della vita e delle relazioni, senza le quali nessuno potrebbe rinnovarsi, riscoprirsi e sentirsi parte attiva nel mondo.

Questo importante incrocio didattico, educativo, storico e culturale, è indispensabile per il raggiungimento  delle competenze; rappresenta un modo innovativo e creativo di intendere la scuola, che oggi è luogo e spazio non solo fisico ma soprattutto emotivo e sociale.

Inaspettate fragilità

150 150 Silvia Ferrari

Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

è la celebre frase del Canto XXVI dell’Inferno nella Divina Commedia quando  Dante incontra  Ulisse . Egli ora  si trova nel girone dei fraudolenti, a causa dei suoi innumerevoli inganni, ma la visione dantesca offre uno slancio di positività, che mi porta a riflettere sulla condizione sociale attuale.

Secondo Dante, Ulisse non tornò a casa ma continuò a viaggiare in mare, spingendosi fino alle colonne d’Ercole considerate il limite oltre il quale nessun uomo aveva mai viaggiato. Aveva rivolto ai suoi compagni quelle parole sopra citate e li  invitava  a continuare il viaggio insieme a lui, senza timore, per raggiungere e conoscere altri luoghi.

Oggi noi adulti dove ci spingiamo per raggiungere la conoscenza? Ci areniamo e viviamo in modo passivo oppure proseguiamo il nostro viaggio alla ricerca di saperi sempre più ampi? Gli ambienti sociali, scolastici e professionali ci parlano di competenze da acquisire, per diventare cittadini del mondo, dare valore a regole, culture, al patrimonio artistico del nostro territorio, alla cittadinanza digitale.

Mentre la scuola è chiamata a svolgere percorsi di apprendimento trasversali volti a raggiungere queste competenze, molti adulti sembrano fermi, ancorati alle conoscenze del passato, perché si sentono presumibilmente completi e non si accorgono che questo restare fermi non stimola i bambini e ragazzi, ma anzi li rende vuoti e insicuri. La società cambia, evolve, si modifica in continuazione e gli adulti non possono fermare la loro sete di conoscenza, ma continuare ad acquisire competenze  per formare i giovani. Devono insegnare, imparare e coinvolgere con l’esempio di chi collabora, viaggia  e riesce a raggiungere gli obiettivi che  si pone. Solo unendo le competenze e acquisendone di nuove, la nostra società si trasformerà da liquida (Z. Bauman) a solida con basi sicure.

Questo non significa avere percorsi facili, ma usare l’incertezza per continuare a scoprire con coraggio e sacrificio ciò che serve per costruire un futuro migliore. Bauman ha affermato che “l’incertezza è l’unica certezza” proprio perché un’apparente fragilità nasconde molti modi di risolvere problemi, trovare diverse soluzioni.

Essere preparati di fronte all’imprevisto, continuare a formarsi per cambiare insieme alla società è il modo migliore per rafforzare la nostra esistenza, minacciata spesso dalla pigrizia mentale o dal desiderio di apparire. Questo  ci impedisce di inseguire la “virtute e canoscenza” di Ulisse, ci impedisce di essere punti di riferimento.

Possiamo cambiare prospettiva e donare al futuro una nuova speranza, viaggiando prima di tutto dentro noi stessi e scoprire la bellezza e la potenzialità dell’essere umano. Diamo quindi valore alla nostra esistenza, con responsabilità e creatività recuperiamo quel coraggio che spesso manca agli adulti, quello che serve da esempio ai giovani, che li motiva, li fortifica, li rende indipendenti e autonomi, nel loro viaggio colmo di incertezze ma di altrettante infinite possibilità di successo.