IMPERFEZIONI PEDAGOGICHE

Pedagogia

Voglio dire Buon Natale

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Nel rispetto delle religioni diverse da quella cattolica, o per la perdita di fede, è ormai consuetudine vivere il mese di dicembre dando poca importanza all’Avvento.

Se inizialmente questo poteva essere inteso come un modo inclusivo di vivere i momenti della cristianità, ora sta diventando preoccupante perché è una continua rincorsa all’attenzione verso l’abbandono dei termini canonici del Natale, ci dicono, per essere accoglienti verso tutti.
Così però stiamo perdendo la libertà di esprimere cosa significa davvero Natale, usando invece termini di altre culture o semplicemente parole più “leggere” che poco agganciano la tradizione.

Nella religione cattolica, è la nascita del Signore, il  Dio che si prega e in cui si crede. Questo semplicemente è il punto da cui partire per arrivare al 25 dicembre.
Ognuno può vivere la propria esperienza come meglio crede, in famiglia, nelle scuole e nei luoghi pubblici.

Chi vive la cultura occidentale, abbraccia alcune tradizioni, come canti, il presepe e l’addobbo dell’albero. Soprattutto quest’ultimo è accolto con interesse da tutti e come consuetudine, si decora all’inizio dell’Avvento, nonostante i social ci propongano tempi diversi, la corsa a chi lo prepara  prima o le luci più colorate. 

Per quanto riguarda il presepe poi, proprio nella nostra Italia è nata la tradizione della Sacra rappresentazione con San Francesco, per ricordare il vero dono del Natale. Nella zona di Napoli e in altre città sparse per lo stivale, è particolarmente importante la produzione di statuine coreografiche per evocare la nascita di Gesù.

Perché allora abbandonare le nostre tradizioni? La visione interculturale del Natale non ha nulla a che fare con l’abbandono, ma anzi ha il profondo significato dell’Intreccio  di più culture che si valorizzano a vicenda. Interculturale significa infatti conoscenza e incontro di culture diverse. Come si rispettano tutte quelle che accogliamo quotidianamente, usando i termini appropriati per definirle, è giusto poter dire “Buon Natale” o “Avvento” senza sentirsi in difetto, ma educando al rispetto. Rispetto, un termine universale di umanità e sapienza, capace di rendere migliori le persone.

Perciò, questo mese di dicembre sia davvero un incontro, un calendario in cui si scoprano le tradizioni di altre culture e si valorizzino le nostre, che siamo chiamati a rispettare, seguire e trasformare in modernità, stando al passo con la società che evolve.
Per questo Natale riprendiamoci la libertà di spiegare cosa significa.

I valori e il senso della tradizione , acquisteranno di nuovo il loro posto e l’azione educativa soprattutto delle famiglie, sarà di nuovo efficace, capace di radicare il senso di appartenenza che oggi spesso è delegato ai social media, alle mode, all’influenza di persone che non scegliamo come esempi ma ci vengono proposti da imitare in massa, lasciando assopito il pensiero creativo e divergente.

Riscopriamo allora  la bellezza della tradizione, per chi professa una qualsiasi religione e per chi non ha un Dio in cui credere,  sottolineando l’azione educativa, nel rispetto civico e morale. Iniziando da noi, rivaluteremo l’impatto sociale che la riscoperta dell’educazione lascia, come nuovo umanesimo, nuova occasione, nuova esperienza di condivisione e vita reale. 
Allora, a tutti, potrò dire liberamente Buon Natale!

Verità e coerenza per vivere al meglio

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Dire ciò che si pensa, sempre, seppur con eleganza e trasparenza, spesso genera reazioni ostili e conflittualità, anche tra adulti.
La coerenza e la sincerità però ci aiutano a crescere, ad essere consapevoli e a trovare il modo di affrontare ogni situazione.
A volte penso di essere io fuori luogo, nel confronto mi sono sentita in difetto tante volte.
Alcuni giorni fa sono stata attaccata e in quel contesto non me l’aspettavo. Forse ho detto qualcosa che ha infastidito chi stava comunicando con me o semplicemente… questione di feeling.

Poi ci penso e mi dispiace, perché credo nelle relazioni e nel potere di modificare in noi ciò che può essere migliorato.
Ci lavoro ogni giorno, a volte riesco, a volte no, come tutti noi, ma continuò a provare e soprattutto ad essere coerente con le mie scelte e i miei valori. Quelli che arrivano dalla mia educazione, quelli che ho scoperto da sola e che sono anche cambiati nel tempo.
L’importante è provare a smussare, modificare, tenendo conto delle nostre personalità che si intrecciano alla ricerca di un equilibrio.
Se lo troviamo, le nostre relazioni miglioreranno e saremo capiti dagli altri, forse da molti oppure da pochi, ma sarà un grande privilegio ritrovarsi.

#formazione

Ognissanti

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La ricorrenza cristiana si  festeggia il 1° novembre e  ha radici molto antiche.  Si mescolano  elementi  sacri e profani, con tradizioni  diverse in tutto il mondo. Per  i cristiani si tratta di  un momento in cui i credenti partecipano alla Messa nel rispetto del terzo comandamento che impone di santificare le Feste. C’è poi la visita ai vari luoghi sacri dove riposano i defunti, perché il giorno successivo, si celebra la giornata dei defunti.
Ognissanti, venne istituita dalla Chiesa e inizialmente celebrava  coloro che erano morti come martiri. Ma in seguito fu estesa a tutti i santi, così  nel 610 d.C. Papà Bonifacio IV,  decise di festeggiare la commemorazione dei santi  il 13 maggio. Successivamente  Papa Gregorio III spostò la data al 1° novembre ,come anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro, con le  reliquie dei santi apostoli e di tutti i santi.

Tanti auguri Calimero

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1963 -2023
Il pulcino Calimero, nel primo Carosello è presentato come il quinto della covata di Cesira, una gallina veneta.
Il piccolo in testa ha sempre l’uovo da cui si è schiuso e ogni giorno affronta avventure in cui, nonostante il suo stato iniziale di “brutto anatroccolo” abbandonato dalla famiglia ed esposto alle cattive compagnie, non sempre il bene e la verità trionfano.

Il mondo di Calimero non è apertamente ostile ma anzi confortevole anche se popolato di aguzzini primo tra tutti Piero, che è un maschio papera molto furbo o il saccente professor Gufo Saggio, che fanno da contraltare ai personaggi positivi come la fidanzata Priscilla e l’amico Valeriano.
( dal web)

Calimero oggi è una parte di ognuno di noi, quando non ci sentiamo accettati in un ambiente, tra amici o in altre situazioni. Dopo 60 anni il piccolo pulcino fuori dal comune è ancora un esempio di tenacia, di voglia di emergere e di perseveranza.
Alla fine, la bontà e la sincerità di Calimero vincono e convincono tutti che dietro ad un’apparente verità c’è qualcosa di più profondo. Ci sono modi di vivere, emozioni, capacità e competenze in un mondo in cui conta solo ciò che si vede.
Con l’aiuto di Calimero, oggi riscopriamo il valore di “ciò che si è” realmente, senza timore o incertezza di deludere chi ci osserva ma con la convinzione di offrire la miglior parte di noi, con sincerità e orgoglio. C’è ancora molta strada da percorrere a livello sociale e soprattutto educativo. Ma solo provando, da adulti consapevoli,  potremo capire il nostro valore reale e togliere il nostro guscio di Calimero per dare vita ad esperienze indimenticabili e soprattutto vere, per contornarci di persone sincere che tengono a noi, per avere la libertà di dire quello che pensiamo senza forzature e stereotipi, per avere il coraggio di educare le nuove generazioni sulle orme di Calimero.
Riguardando alcuni episodi di Carosello, non si può non fare riferimento all’inclusione, che ancora spesso ci fa riflettere. Nonostante i tempi cambiati e divenuti così social, il piccolo pulcino ritorna a insegnare che si vince solo quando si sceglie il meglio per noi, anche se questo significa andare contro corrente, uscire dal branco, essere diversi ma fare la cosa giusta che ci fa star bene.

La cosa giusta e il meglio per noi…

 Sono una continua ricerca che affascina e appassiona perché il bello di arrivare è la strada per arrivare.

Allora grazie Calimero per aver tracciato un sentiero,  tanti auguri di buon compleanno, continua ad essere un esempio!

La scuola è luminosa!

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La  scuola è…  luminosa!

Iniziare la settimana e ogni giorno con il sorriso, offre ad alunni e insegnanti una prospettiva divergente. Penso al luogo di lavoro, ma se la passione e la creatività mi accompagnano, è facile pensare alla scuola come a un’esperienza di vita unica. Oggi ancora troppo spesso leggiamo di episodi poco motivanti o magari li viviamo in prima persona:  insegnanti che mortificano anziché valorizzare e rimangono ancorati a una didattica tradizionale invece di cambiare.

Le buone pratiche e la fiducia, sono ingredienti strategici per migliorare l’esperienza scolastica, ognuno nel nostro piccolo, ma quel che è certo è che il primo cambiamento parte da noi. Noi facciamo la differenza!

Le leggi e i decreti ci forniscono indicazioni su come orientarci seguendo le norme, ma la creatività è un’altra cosa. È uno stato d’animo, una scelta, un’emozione. Uno stato d’animo perché se siamo desiderosi di imparare, possiamo solo migliorare. Un’emozione perché ogni momento della giornata scolastica è scandito da sensazioni più o meno piacevoli, ma emozioni che generano bellezza.
La creatività è una scelta, perché siamo noi a decidere che tipo di insegnanti vogliamo essere, che esempio dare, che traccia lasciare. Sui social siamo tutti a ricercare pagine con tutorial per realizzare lavoretti e attività, ma siamo noi il vero tutorial.  Ognuno di noi può creare il bello della scuola e seguire o imitare  gli altri ci serve come suggerimento , ma siamo noi a dover inventare e creare esperienze di qualità  

Decidiamo quindi ogni giorno di rendere la nostra scuola luminosa, con semplicità e soprattutto seguendo la nostra ispirazione. 

La scuola è una cosa seria

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Il ricordo più bello che ho della mia esperienza come alunna, è del  maestro Agostino che dopo i primi quattro anni di routine, è arrivato portando un modo diverso di lavorare, di vivere la scuola. Amava il teatro e aveva coinvolto la nostra classe quinta e tutta la scuola a portare in scena un racconto interpretato da noi alunni. Il maestro aveva osservato le nostre caratteristiche e potenzialità e insieme alle altre maestre aveva assegnato ad ognuno una parte, “la parte”, quella che ognuno si sentiva cucita addosso. Avevamo imparato che non importava quante battute ci fossero da recitare, ma come le avremmo recitate e soprattutto che se ognuno di noi avesse interpretato il proprio ruolo con impegno ed empatia, lo spettacolo sarebbe stato un successo.

In quell’anno ho iniziato ad amare la scuola, a pensarla non tanto come un luogo ma come una dimensione in cui vivere, un insieme di mondi reali e fantastici capaci di farmi crescere e maturare in modo libero, personalizzato ed entusiasmante.

Il mio percorso non è stato sempre facile, ho avuto difficoltà ad inserirmi in un contesto di scuola superiore in cui gli insegnanti non avevano cura dei ragazzi ma solo delle prestazioni. Ho incontrato compagni di classe lontani dall’essere amici o complici in un cammino, ho faticato a volte a far comprendere le mie ragioni, le mie idee oltre gli stereotipi.

Nonostante aspetti negativi della mia esperienza scolastica, quello che ho sempre ricordato è stato quell’ultimo anno alla scuola elementare (ora primaria), che ha tenuto un filo legato a mente e cuore tanto che ho deciso di fare l’insegnante. Sono passata dall’infanzia alla primaria, con una brevissima parentesi alla secondaria di secondo grado per poi continuare alla scuola primaria. Ho cambiato molte volte impostazioni e regole, in base alle leggi che negli anni si sono susseguite nella scuola, cercando di prendere il positivo da tutte e renderle efficaci. Intorno alle riforme della scuola ci sono sempre state polemiche e considerazioni a più voci.

Cercando di guardare ancora oltre come facevo da studentessa, mi sono documentata, ho continuato a studiare la normativa, ho tenuto fede agli articoli della Costituzione a tutela del diritto allo studio, alla libertà di insegnamento, ho cercato di migliorarmi anno dopo anno per entrare il più possibile in sintonia con i miei alunni.

Dopo anni impiegati a costruire una professione, l’ultima trovata che getta ombre e dubbi sul percorso: il docente esperto.

Con orgoglio, posso affermare di aver fatto fruttare nella mia esperienza di insegnante, i miei studi e il mio impegno e di aver messo a disposizione della scuola le competenze acquisite. Lo dimostrano gli obiettivi raggiunti dagli alunni e alunne, i rapporti collaborativi con genitori e colleghi, le esperienze maturate come formatrice di altri docenti, come tutor, come figura di sistema. Semplicemente ho reso il mio lavoro, che è il più bello del mondo, piacevole e frizzante per me e per chi con me ha vissuto la scuola ogni giorno.

Prima di continuare a proporre altre riforme, percorsi per diventare docenti esperti, mi piacerebbe che si guardasse all’Europa, ai molti sistemi scolastici che funzionano e dove per  studenti e insegnanti c’è un profondo rispetto e una  profonda considerazione (oltre che ad uno stipendio adeguato all’impegno professionale).

Prima di continuare a cambiare le leggi della scuola, mi piacerebbe che si valutasse l’ipotesi di non proporre altro, ma di sistemare quel che c’è, che con impegno e fatica dirigenti e insegnanti provano ad attuare quotidianamente per il bene comune, mettendosi in discussione e adeguandosi alle singole realtà per ottenere il meglio.

Vorrei che la scuola intesa come comunità attiva, fatta di esperienze, conoscenze, competenze, emozioni, tornasse ad essere protagonista di una storia vera, semplice e affidabile, scritta quotidianamente pensando al bene, al bello, alle potenzialità, alle possibilità, alla collaborazione vera, vissuta e non recitata con una parte che non le si addice.

Vorrei che gli insegnanti fossero registi del percorso di insegnamento apprendimento, certi dell’importanza e della bellezza del lavoro che hanno scelto, e scegliere significa faticare, impegnarsi, formarsi, non improvvisarsi! Insegnanti felici e gratificati, sanno motivare gli studenti e le studentesse con un rinnovato entusiasmo, che in questi anni a molti di noi non è mai mancato e proprio per questo le proposte innovative devono essere autentiche, spendibili, motivanti.

Agli insegnanti è affidato il compito di far emergere il bello di ogni studente e studentessa, di farli innamorare della conoscenza, di renderli consapevoli per essere uomini e donne del futuro, capaci di pensare, lavorare, creare occasioni.

Vorrei continuare a svolgere il mio lavoro per questo, per contribuire a rendere migliore la società, senza sentirmi sempre messa alla prova, pur continuando a studiare e formarmi ogni anno perché è corretto, ma senza scadenze per ricevere un buono, senza dover dimostrare, perché tutti sbagliamo, ma abbiamo poi la possibilità di fare meglio.

Quindi mi domando, cosa altro dovrei fare per essere considerata un docente esperto? La formazione in servizio è già presente nel comma 124 , art. 1 della L 107/2015 e in molti ogni anno ci ritroviamo a seguire corsi, seminari, workshop proprio per garantire alla scuola percorsi di qualità.

Ho lavorato sempre con passione, divertendomi e continuerò a farlo perché ci credo, perché mi piace, perché amo la scuola, perché è il lavoro che ho scelto e perché chi ha un’esperienza simile alla mia o migliore, possa continuare a credere che la vera differenza siamo noi!

Noi, che ci adeguiamo ad ogni proposta senza polemiche, ma con il desiderio di fare nuove attività, noi che accompagniamo, consoliamo, orientiamo, coccoliamo e qualche volta ci arrabbiamo.

Noi, che viviamo la scuola come gli spettacoli del mio maestro Agostino, con prove e tentativi,  complimenti e sorrisi,  momenti da correggere e  applausi, conoscenze e  vita vera, quella che genera le emozioni più belle che non si dimenticano mai!

E se un giorno qualcuno dovesse chiedermi a cosa è servita la scuola, come alunna e come insegnante? Risponderei che la scuola mi ha insegnato la vita.

Parlar di gentilezza

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Che cos’è la gentilezza

Da sempre la gentilezza deriva da insegnamenti ed esempi generativi di persone familiari che ponevano al primo posto l’arte della relazione personale, utile ad intrecciare rapporti di tipo commerciale e sociale. Se provassimo a chiedere alle persone di definire la gentilezza avremmo tante interpretazioni con un nome comune : comportamento rispettoso.

“La gentilezza, è la delizia più grande dell’umanità” (Marco Aurelio). Se chiedessimo ai bambini di parlare di gentilezza, loro porterebbero esempi pratici come dire grazie, essere educati, rispettare chi abbiamo di fronte. Con infinita semplicità delle loro parole,  saprebbero infatti spiegare la gentilezza: un modo di comportarsi che rende felici tutti.

La gentilezza nel tempo

Con il Cristianesimo la gentilezza divenne un esempio caritatevole, un atto d’amore verso il prossimo, un modo di vivere.

Nel tempo altri filosofi hanno scritto e parlato di gentilezza, definendola un comportamento che potesse giovare non solo a se stessi ma anche agli altri. Essere gentili significava offrire all’umanità un’occasione di confronto, di apertura, di dialogo., il rispetto e l’educazione che si manifestavano in ogni occasione hanno caratterizzato i periodi più travolgenti della società di un tempo, dall’umanesimo al rinascimento.

Nel 1205 San Francesco d’Assisi grazie alla sua conversione, contagiò molte persone con il suo desiderio di aiutare e amare il prossimo, con parole e opere gentili, divenute poi quotidianità e azione caritatevole.

Il periodo dell’Umanesimo vide protagonista la gentilezza nell’ambito educativo e sociale con la finalità di consolidare lo spirito e l’animo delle persone e infondere sicurezza.

Il filosofo David Hume nel 1741 pose l’attenzione a quanto fosse necessario elevare la pratica della generosità e della gentilezza, dote innata nelle persone a suo parere capace di donare benessere.

 

La gentilezza oggi

Oggi la parola gentilezza sembra poco importante, eppure il 13 novembre ogni anno si ricorda la giornata della gentilezza durante la quale si alimentano e si mettono in pratica buone azioni che dovrebbero poi divenire consuetudine. L’idea di istituire questa giornata è nata in Giappone e nel 2000 è stata resa nota anche in Italia grazie ad un movimento che ha sede a Parma.

In molte occasioni abbiamo sperato che la gentilezza potesse divulgarsi più di altre mode anche nella nostra società così cambiata, in movimento continuo. Sempre più spesso assistiamo a comportamenti motivati da egoismo e presunzione piuttosto che generosità e aiuto verso chi ha bisogno.

La gentilezza a scuola e a casa

Ancora una volta i bambini offrono un contributo interessante perché nelle scuole e nelle famiglie con le loro azioni talvolta spontanee, talvolta guidate da saggi genitori e insegnanti, sanno far rinascere la gentilezza nella sua forma più pura e più maestosa. L’azione educativa che suggerisce comportamenti gentili infatti, mortifica e pone in ombra usi inadeguati ad un contesto sociale in formazione costante. La famiglia in quanto agenzia educativa per eccellenza, è la prima a dare l’esempio di comportamenti dignitosi, lodevoli e gentili, caratteristici di ogni soggetto attivo in una società. La scuola poi, valorizza il compito formativo, per garantire ai bambini continuità, coerenza, veridicità e infinita bellezza.

Il bello della gentilezza infatti, è che non si perde e non si consuma, anzi, se alimentata con perseveranza e manifestata in continuazione, si diffonde, si rigenera, facilitando l’emergere di personalità limpide, sincere e decise. La forza della gentilezza sta proprio nell’essenza stessa del termine: nobiltà d’animo acquisita con l’esercizio della virtù; atto, espressione, modi gentili, proprio come scrisse il poeta Giudo Guinizzelli nell’opera “ Al cor gentil rempaira sempre amore” (XIII secolo).

In occasione della giornata della gentilezza, azioni, poesie o  racconti narrati possono aiutare a diffondere questo nobile sentimento, nella speranza che possa emergere senza timore alcuno, ma con la certezza di compiere un passo verso la crescita dell’intera umanità.

 

Bibliografia:

Ferrari S, poesia “La gentilezza”, 2020

Guinizzelli, “Al cor gentil rempaira sempre amore” XIII secolo

Stilton. G, “Il piccolo libro della gentilezza” Piemme, 2020

 

Sitografia:

https://www.officinafilosofica.it/blog/gentilezza/

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_d%27Assisi

https://it.wikipedia.org/wiki/Cantico_delle_creature

https://www.silviastrocche.it/la-gentilezza/

 

Grandi risorse e competenze a fine anno scolastico

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Gli argomenti che sono stati sviluppati nel corso di questo anno scolastico così travagliato e per certi aspetti faticoso, hanno consentito sia ai miei alunni che a me di approfondire alcune tematiche legate al raggiungimento delle competenze.

Una delle attività conclusive di lingua italiana, storia, educazione civica è stata la realizzazione del curriculum dello studente, con una rilettura adeguata ad una classe quarta della scuola primaria. Insieme agli alunni ho elaborato una traccia che tutti hanno  compilato a casa in autonomia. Ho chiesto poi di arrivare in classe con un abbigliamento elegante per la presentazione di  un loro progetto del  recente passato e volto al futuro  (avevano come accessori anche cravatte, borse, collane e scarpe con i tacchi!). È stato molto interessante ascoltarli perché i bambini hanno dimostrato di avere grandi risorse e di saper coinvolgere tutti i compagni che si sono sentiti motivati a porre domande per soddisfare tutte le curiosità, con estremo rispetto gli uni verso gli altri.

Con molta determinazione ed entusiasmo, ognuno ha elencato le scuole, le classi frequentate fino ad ora, le varie attività, i progetti svolti nell’anno scolastico, eventuali partecipazioni a concorsi promossi dall’Istituto e per finire uno sguardo al futuro con la spiegazione delle idee creative legate alla   professione che sognano di intraprendere da grandi. Da qui tante considerazioni legate agli studi necessari per raggiungere l’obiettivo, alle risorse materiali da utilizzare, alle persone coinvolte e alla motivazione che aveva suggerito la loro scelta.

Si sono così incrociati tanti discorsi di educazione civica riferiti alla legalità, all’ ambito giuridico, all’importanza del rispetto di diritti e doveri dei cittadini, alle regole, alla tutela delle minoranze, alla salvaguardia dell’ambiente e degli animali, alla  tecnologia come fonte di innovazione e crescita personale e professionale.

Tanti gli aspetti che hanno permesso a noi tutti di riflettere, di portare esempi carpiti  dalle nostre esperienze quotidiane, di vedere il futuro con entusiasmo e fantasia, lasciando perdere ciò che non funziona, ma provando a trovare soluzioni immediate per attivare da subito, nel nostro piccolo, comportamenti sostenibili e generativi.

Ogni nostro gesto, ogni percorso familiare e scolastico, se proposto con cura, passione e determinata consapevolezza, contribuisce a migliorare la  qualità della vita e delle relazioni, senza le quali nessuno potrebbe rinnovarsi, riscoprirsi e sentirsi parte attiva nel mondo.

Questo importante incrocio didattico, educativo, storico e culturale, è indispensabile per il raggiungimento  delle competenze; rappresenta un modo innovativo e creativo di intendere la scuola, che oggi è luogo e spazio non solo fisico ma soprattutto emotivo e sociale.

Inaspettate fragilità

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Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

è la celebre frase del Canto XXVI dell’Inferno nella Divina Commedia quando  Dante incontra  Ulisse . Egli ora  si trova nel girone dei fraudolenti, a causa dei suoi innumerevoli inganni, ma la visione dantesca offre uno slancio di positività, che mi porta a riflettere sulla condizione sociale attuale.

Secondo Dante, Ulisse non tornò a casa ma continuò a viaggiare in mare, spingendosi fino alle colonne d’Ercole considerate il limite oltre il quale nessun uomo aveva mai viaggiato. Aveva rivolto ai suoi compagni quelle parole sopra citate e li  invitava  a continuare il viaggio insieme a lui, senza timore, per raggiungere e conoscere altri luoghi.

Oggi noi adulti dove ci spingiamo per raggiungere la conoscenza? Ci areniamo e viviamo in modo passivo oppure proseguiamo il nostro viaggio alla ricerca di saperi sempre più ampi? Gli ambienti sociali, scolastici e professionali ci parlano di competenze da acquisire, per diventare cittadini del mondo, dare valore a regole, culture, al patrimonio artistico del nostro territorio, alla cittadinanza digitale.

Mentre la scuola è chiamata a svolgere percorsi di apprendimento trasversali volti a raggiungere queste competenze, molti adulti sembrano fermi, ancorati alle conoscenze del passato, perché si sentono presumibilmente completi e non si accorgono che questo restare fermi non stimola i bambini e ragazzi, ma anzi li rende vuoti e insicuri. La società cambia, evolve, si modifica in continuazione e gli adulti non possono fermare la loro sete di conoscenza, ma continuare ad acquisire competenze  per formare i giovani. Devono insegnare, imparare e coinvolgere con l’esempio di chi collabora, viaggia  e riesce a raggiungere gli obiettivi che  si pone. Solo unendo le competenze e acquisendone di nuove, la nostra società si trasformerà da liquida (Z. Bauman) a solida con basi sicure.

Questo non significa avere percorsi facili, ma usare l’incertezza per continuare a scoprire con coraggio e sacrificio ciò che serve per costruire un futuro migliore. Bauman ha affermato che “l’incertezza è l’unica certezza” proprio perché un’apparente fragilità nasconde molti modi di risolvere problemi, trovare diverse soluzioni.

Essere preparati di fronte all’imprevisto, continuare a formarsi per cambiare insieme alla società è il modo migliore per rafforzare la nostra esistenza, minacciata spesso dalla pigrizia mentale o dal desiderio di apparire. Questo  ci impedisce di inseguire la “virtute e canoscenza” di Ulisse, ci impedisce di essere punti di riferimento.

Possiamo cambiare prospettiva e donare al futuro una nuova speranza, viaggiando prima di tutto dentro noi stessi e scoprire la bellezza e la potenzialità dell’essere umano. Diamo quindi valore alla nostra esistenza, con responsabilità e creatività recuperiamo quel coraggio che spesso manca agli adulti, quello che serve da esempio ai giovani, che li motiva, li fortifica, li rende indipendenti e autonomi, nel loro viaggio colmo di incertezze ma di altrettante infinite possibilità di successo.

 

 

 

Un’esistenza felicemente imperfetta

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“ Essere felici non significa che ogni cosa è perfetta.

Significa che hai deciso di guardare oltre le imperfezioni “ (Brahma Kumaris)

Ho trovato questa frase sul calendario e credo  sia adatta ad ogni giornata che si apre nelle nostre vite. Spesso cerchiamo la felicità e pensiamo di poterla raggiungere quando  possediamo beni materiali, oggetti che aumentano apparentemente la nostra gioia. Cerchiamo la perfezione quando questa in realtà non esiste , ma esiste un modo per essere felici, che è l’insieme di tante splendide e uniche imperfezioni. Le piccole cose, i piccoli momenti spesso ci suggeriscono importanti valori: un sorriso, un caloroso saluto , un consiglio, la vicinanza di una persona cara,un amico ritrovato , l’affetto dai familiari , la stima  nei nostri confronti e la nostra verso  agli altri.

La felicità si costruisce un’emozione dopo l’altra, facendo tesoro di ogni singolo attimo che ci fa stare bene prima di tutto con noi stessi e poi con gli altri.

La felicità va cercata dentro di noi, manifestata senza eccessi ma con la consapevolezza di dire: eccomi, sono qui, faccio del mio meglio per vivere la vita seguendo valori etici, morali e religiosi che mi arricchiscono, rendendomi ogni giorno una persona migliore.

E poi si sbaglia certo, ma non ci si ferma di fronte all’errore. Si riconosce, si affronta e si cerca di superarlo con la forza che arriva da noi, quella forza che ci rende felici se riusciamo a superare gli ostacoli. La forza  ci spinge a guardare oltre, ci consente di osservare ciò che viviamo e a trovare sempre un valido motivo per scoprirci felici.

La forza e la felicità sono scelte di vita e ci aiutano a ritrovare in ogni percorso la vera essenza del nostro essere, a guardare oltre, per scoprire la bellezza di un’esistenza felicemente imperfetta.